courtisane

indépendance - silencieux
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Fotografia di December Sun

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Lamenti spesso
un dolore intervitale,
sottraendo alla vita,
piccoli, brevi, istanti di gioia.

Lamenti un dolore
che ha in Adamo la sua origine
ma tu stesso sai
che della nostra genesi,
io sono solo la foglia sul pube.

Mio padre non andò mai in guerra
e mi disse di diffidare
da chi coltiva le stelle
e da chi pianta grane per niente.

Nel cortile delle probabilità
ho dolori da archiviare,
o pesi da smaltire.

Guardami pure sorpreso  fra le maglie
dell’incredulità.

Io perdo tempo a giocare
come fossimo ancora al primo incontro,
con la tua intimità. 

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trovato masticando vita

periphrase

aller

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Mancherò qualche giorno;
Stasera sarò a Vercelli, poi Torino
e di nuovo in Liguria.

Dovrei, salvo imprevisti essere di ritorno
i primi giorni della prossima settimana.

I fiori li ho dati tutti a mamma.
Sia i mazzi di fiori ricevuti in questi giorni,
sia la pianta di ciclamino rosa.

"Curali te, mamma, per le nostre donne".
Non credo abbia capito. Però ha abbozzato un sorriso.

Mi ha confessato di aver letto il libro tutto in una sera,
la prima sera che gliene portai una copia
e di non aver praticamente capito un cazzo.
Però me l’ha detto con dolcezza
e io l’ho perdonata.

Da quando ho pubblicato il libro
ritaglia da ogni giornale che trova, articoli e poesie.
Mi aggiorna su tutte le novità letterarie,
non risparmiandomi Vespa che m’ha fottuto persino la vetrina qui.

Sta perdendo la memoria.
Io perdo le cose, dimenticando dove le metto.
Ultimamente mi dimentico anche dove sto andando
e chiamo Gina che mi da le coordinate sulle mie destinazioni.

Giorni fa entrai in tabaccheria e chiesi alla signorina:
"Senti, scusa, le sigarette le ho, la ricarica al cellulare pure, sai cosa volevo qui?"
Mi guardò ridendo, dicendomi qualcosa che ho dimenticato.
Uscii e mi ricordai, non trovandolo in borsa, che volevo un accendino.

Arancione

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Per chi volesse passare o scrivere sui muri di
Via Pier Paolo Pasolini
può chiedere a lei

Ciao, a presto.
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Assenza non è dimenticanza

j'ai vu

voire

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Ascolta sorella

Una conoscenza di riporto ci incontra davanti al Teatro Petruzzelli
e ci indica un – a sua detta – buon albergo. 
Salgo io al secondo piano della palazzina signorile in una via centrale.
Un nome di ragazza felice, il nome della pensione.
La donna mi accoglie in dialetto stretto e camere più strette del dialetto
con un cesso e un box doccia ai bordi della stanza.
Mi commuove la madonna nascosta nella nicchia con tutti i santi al cospetto dei peccati
mentre la signora, mi chiama continuamente sorella.
Mentre sale al piano la persona che era con me,
la rumena di turno si scoscia sullo sgabello e appare
un uomo unto di poche parole all’angolo della parete senza santi.
Discuto sull’orario di eventuale rientro. A mezzanotte l’albergo chiude
e noi non vogliamo limiti per pochi giorni di ferie.
Leggo alle pareti un cartello più unto dell’uomo senza parole:
"con o senza bagaglio, il pagamento è anticipato".
La madonnina coi fiori finti e coi lumini e con tutti i santi
è in una nicchia di un bordello di città.
Mi altero come so alterarmi e alla mia testardaggine,
un armadio, forse un ex rugbysta muscoloso, parruccato di biondo
si appoggia alla parete e scuote il capo, seguendo i toni
della signora che continua a spingermi il braccio chiamandomi sorella.

Avrebbe cambiato le regole,
accettato i nostri folli orari, forse c’avrebbe fatto pure
un caffè la mattina, la signora dalle ciabattine dorate.
Lasciamo sola lì, la madonnina coi fiori finti,
 a contare peccati.

Una puttana miseria ci porta fuori dove
per forza di reazione si infrange sulla vita,
come una certezza di scogli,  il mare.

Un sorriso prezioso ci accoglie
nella città che ha mille vite
e una ne nasconde.

***

Ho visto una zingara felice

Ho visto una zingara felice, giocare coi capelli
nel centro di un parco l’ho vista giocare col suo bambino.
Capelli scuri come la notte che non arriva.

Curve morbide sull’onda delle sue movenze
deve averla imitata persino il mare.
Un’onda di pensieri le stavano addosso
a guardare il culo danzante di una zingara felice

***

What time is it?

Si avvicinano così delle ragazzine a dare una lingua alla loro curiosità.
Non porto orologi da quando il tempo è una condanna.
Il display del cellulare indica un’ora in lingua italiana.
La timidezza diventa una risata condivisa.
Di tante cose inutili, dimentichiamo anche di darci un nome.
Un ciao alla fine della strada,
ci riporta all’odore del mare.

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Liberamente tratto da alcuni fotogrammi
dei miei giorni a Bari