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Avevo chiesto di poter evitare di andare su un palco
per questo avevo proposto di poter fare la serata di poesia
da un tavolo sottostante il piccolo e di poco rialzato palchetto.
Il locale era buio nel pomeriggio;
ero andata a vederlo per capire meglio gli spazi
e per organizzarmi con i ragazzi che avrebbero fatto per le mie parole
un concerto rock.
Stabilisco col titolare del locale il tavolo dove sedermi
insieme alle persone che erano con me
e da dove avremmo dovuto fare poesia.
Poi andiamo a respirare mare.
L’aria di mare è un’aria che manca a chi come me
vive con le montangne tutt’intorno.
Era bello respirare mare, mentre leggevo tutti gli articoli
usciti sulla stampa ligure.
La sera arriva troppo presto.
Fuori dal locale, seduti ad un tavolo con alcune persone
ci raggiunge un cameriere e mi avverte di qualcosa
che avevo già previsto.
– L’organizzatore ha deciso che tu ti siedi a quel tavolo lì
e m’indica il tavolo vicino alla porta d’uscita.
Tavolo lontano dal palco.Tavolo di distanze.
Sì, nessun problema, ribadisco io.
Farò poesia da qui e se la gente non sente, impareranno a tacere
che la poesia ha bisogno d’ascolto, non di micorfoni, non di palchi.
Sui palchi ci vadano i bravi, i vincenti.
Inizia così la mia ribellione interiore,
e penso che non poteva essere diversamente.
Al tavolo con me alcuni soci del Club Tenco,
Giovanni Choukhadarian, Calogero e Michela.
Interviene Giovanni Choukhadarian a metà serata,
parlando di me, quando il rumore del rock si fa silenzio.
Dice cose belle di me che quasi mi viene da piangere.
Sappiamo entrambi che non avrò spazio per dire.
Sappiamo che non avrò spazio per fare poesia.
Opporsi in certi casi è sempre sconveniente.
Riusciamo a fare poesia in un unico folle gesto.
Un bacio lungo, appassionato nella sala che si fa pudica
negli occhi imbarazzati della gente che ci guarda.
Le mani ci scivolano reciprocamente addosso.
Le mie cercano il suo sesso,
le sue i miei seni molto evidenti.
Le mani allora salgono sulle teste e pioggia di carezze
sempre in questo lungo bacio.
E’ stato l’unico momento di poesia
che ho potuto fare in sala.
Gli Amici del Club Tenco hanno così lasciato il nostro tavolo
per creare fuori dal locale, una improvvisazione poetica
facendo loro il reading delle mie poesie,
seduti intorno a un tavolo che ho raggiunto come fosse un utero.
Lì abbiamo fatto poesia.
Sono salita, a fine serata sul palco un attimo
per rivendicare il mio reato esistere
fuori da ogni palco che non m’appartiene.
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La notte l’ho passata su un motore con uno sconosciuto
per poi finirla a casa sua, dove aveva musiche e parole da farmi sentire.
– Dimmi poetessa, ma che ne pensi delle mie parole?
Non sono riuscita a rispondergli.
Il sonno m’ha colta ancor prima che le ascoltassi,
sul divano dove mi sono svegliata stamani
coperta, rimboccata da una coperta di lana che il giovane rockettaro dai capelli neri lunghi
m’aveva buttato addosso.
Non l’ho svegliato prima di andarmene.
Ero in collina, in alto in una bella villa da dove si vedeva il mare.
Il mio fuggire m’ha riportata dove le persone che m’aspettavano
erano preoccupate.
E anche questa è stata Poesia.
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liberamente tratto dalle cose che accadono