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Ancora siamo a vivere di niente
e ancora la vita si fa ferita
come papaveri in un campo nell’alba,
dietro la notte.
Li vedo ballare
nella mia infermità sentimentale
come se vivere o esistere
fossero i peggiori fra i mali.
Catturami nel silenzio
l’eco della distanza
e percorrimi più per follia
che non per appartenenza.
Un destino a forma di sassi
si lancia nella calma dello stagno
per incitare al volo
quello che da millenni non si sposta.
Vorrei essere
– o magari solo cercare –
il tentativo di distrazione,
o quell’aquilone che lascia la tua mano
e si lascia Amare
almeno dalle nuvole.
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trovato nel vento che sposta quasi tutto in casa