Dammi tempo. Dammi spazio.
Poco.
Quello necessario per girarmi nel mio vuoto.
Il mio vuoto è una stanza, è il mio utero.
Con soffitto a travi e pareti color pesca e libri.
Un quadro di Klimt, un auritratto, un rosario.
Pile di libri ovunque per leggere d’altri la mia storia.
Pile di disperazioni che non sfoglio mai
per non ricordare al’altra me che esisto.
Lenzuola sempre fresche e pensieri stagnanti
come i pensieri dei pazzi che riecheggiano
con ossessione in ogni frase.
Il mio vuoto lo vivo scalza
e trovo vetri dappertutto.
Camminarsi scalzi è non negarsi la disperazione.
Non fanno male le ferite.
Il dolore espugna i pensieri, più dolorosi d’ogni male.
Anche stamani la vita mi ha svegliata
e mi sveglia sempre, quando io, vorrei dormire sempre.
Vorrei conoscere giorno, ora e circostanza della mia morte
per segnare sul calendario ogni giorno in meno
e avvicinarmi serena al giorno del non ritorno.
– Che fai nella vita?
– Aspetto.
– Aspetti cosa?
– Aspetto di morire.
S’incazzano quando lo dico con serenità.
Perchè è l’unica cosa di cui io non ho paura.
Vivere diventa un obbligo
una coercizione, una condanna.
Mamma, vorrei tanto saper scrivere poesie come scrivi te.
No, non ne scrivere… non lo fare mai.
Vivi
liberamente tratto dal quaderno degli esercizi
jeux de mots